(Articolo tratto da "Antagonismi", supplemento mensile di "Liberazione" - Domenica 21 gennaio 2001)

Il 3 febbraio del 1991, a Rimini dove Occhetto fondava il PDS sciogliendo il PCI, nasceva il Movimento per la Rifondazione Comunista

Il decennio della rifondazione

di Anubi D'Avossa Lussurgiu

Domenica 3 febbraio 1991, a Rimini, viene annunciata la costituzione del Movimento per la rifondazione comunista. Accade nella sala E dell'edificio della Fiera: vi si riunisce la novantina di delegati del XX Congresso del Pci che sono usciti dall'assise dove il segretario Achille Occhetto ha appena finito la sua replica e annunciato definitivamente la trasformazione in Partito democratico della sinistra. E' la fine del Pci e l'inizio d'un altro ciclo politico e storico, che ancora si va costruendo.

Lo stesso 3 febbraio '91 sette rappresentanti eminenti di quell'area di delegati, tutti provenienti dalla II mozione - quella delle opposizioni unificate alla "svolta", che già si era intitolata "Per la rifondazione comunista" -, tra i quali Armando Cossutta, Sergio Garavini e Lucio Libertini, firmano presso un notaio di Rimini il primo atto formale di costituzione del Movimento. Da esso, nei mesi successivi, prenderà forma il partito, il Prc: passando per iniziative di massa e prime prove elettorali, per l'ingresso successivo di dirigenti e militanti inizialmente rimasti nel Pds e provenienti dall'area del vecchio Pdup, per l'ingresso di quelli di "Lotta continua per il comunismo" e per la confluenza - con il suo congresso di scioglimento, unanimemente deciso dall'area del segretario Giovanni Russo Spena e dall'altra di Luigi Vinci - dell'intera Democrazia proletaria. Infine l'assemblea nazionale, prima dell'estate, e poi per il primo congresso, a dicembre.

Quello che si forma allora è un partito "strano": è il risultato d'un complesso quanto convulso processo di composizione della sua prima "anima" politica, all'interno della battaglia delle opposizioni alla "svolta" tra il XIX e il XX congresso del Pci, e poi nell'incontro con ciò che rappresenta gran parte dell'eredità della "nuova sinistra", ossia Dp. Una composizione difficile, che per anni viene internamente percepita come il "problema" su cui si esercita buona parte delle energie. E' una cifra dei primi anni di Rifondazione, che si concreta in iniziali meccanismi di direzione nient'affatto lineari, e in un binomio - che spesso è anche separatezza - tra "sofferenze" nella vita dei gruppi dirigenti ed entusiasmo aggregativo di una "base" allo stato nascente: che è l'altra cifra, feconda, di quel periodo in cui i sussulti della "transizione italiana" chiamano continuamente il Prc alla mobilitazione.

Intanto la definizione dei "temi", ossia delle politiche della Rifondazione, e l'individuazione delle figure materiali del conflitto da reinterpretare, nel fuoco della modernizzazione capitalistica e tra le ceneri del movimento comunista novecentesco, si presentano come oggetti d'una ricerca obliqua e a "salti": essa prenderà un respiro di crescita e troverà uno sforzo di continuità solo dopo anni, mutando con la segreteria di Fausto Bertinotti il profilo del "vertice" del partito e fuoriuscito il partito stesso da quello "stato nascente". Ma alla condizione di altri "traumi": nessuna delle scissioni di Rifondazione, tra il '95 e il '98, è troppo simile all'altra, se non nella questione di fondo della messa in crisi di visioni tradizionali della "politica delle alleanze" e in questo senso ne testimoniano il significato per la "costruzione del soggetto".

E' difficile tentare di riassumere la storia di questi dieci anni di Prc ripercorrendone linearmente tutti i passaggi, senza farne una tesi politica o all'opposto una cronologia quanto più asettica. Piuttosto, è interessante individuare i tempi e i temi su cui la nascita, la crescita e il profilo attuale del soggetto politico della Rifondazione si sono incardinati. Cercando, magari, di vedere come essi - i "fondamentali" dell'impresa - prendano ora forma nell'agenda della ricerca e degli impegni del Prc.

La "culla" storica

Il 3 febbraio di dieci anni fa, presso lo studio di Sante Fabbrani Bernardi si compie in verità un atto di "ricostituzione" del Partito comunista italiano, per la premura di assicurare l'uso del simbolo storico, o almeno contenderlo al nuovo partito nato dalla "svolta" occhettiana: sarà a Roma, il 25 febbraio, che si registrerà legalmente il Movimento per la rifondazione comunista. La stessa scelta del nome movimento fissa ancora per qualche mese l'identità della nuova iniziativa politica ad un'immagine "costituente", praticamente contrapposta a quella fatta avanzare da due anni in senso opposto, su binari già allora di "socialismo liberale", da Occhetto. Lo stesso simbolo, già fatto registrare e che poi si modificherà dopo breve contesa legale col Pds, richiama quello "storico" del disciolto partito comunista. In realtà la scelta medesima della "scissione" è stata sofferta. L'area che faceva capo a Pietro Ingrao, l'ex segretario Alessandro Natta, Giuseppe Chiarante e Aldo Tortorella, e quella di Armando Cossutta, non erano andate unite al XIX congresso, dove si erano aggregate rispettivamente nella II e nella III mozione, rispettivamente intitolate "Per un vero rinnovamento del Pci e della sinistra" e "Per una democrazia socialista in Europa". Sarà dopo quel congresso di marzo 1990 - vissuto come il primo "redde rationem" con lo scenario aperto da Tian Anmen, dalla caduta del Muro e dal visibile crollo delle società dell'Est che si svolgerà un'assemblea di tutto il "no" alla "svolta", a confronto con lo stesso Occhetto e con Massimo D'Alema. Ma nei mesi successivi l'avvicinamento tra le diverse componenti dell'opposizione alla "mutazione" occhettiana si proporrà in termini di radicalizzazione del dissidio. Sarà infatti il lento incedere della Guerra del Golfo Persico, culminata poi nel vero e proprio attacco all'Iraq con i bombardamenti "alleati" a partire dalla notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991, a sottolineare l'alternatività tra le scelte del gruppo dirigente della "svolta" e quelle degli oppositori. Che per il XX congresso si unificano, tra "cossuttiani" e quelli che nel frattempo si sono chiamati "comunisti democratici", appunto nel nome della "Rifondazione comunista",

Tutto questo avviene nel contesto di una progressiva interazione di Dp con il dibattito di opposizione alla "costituente" occhettiana, e soprattutto di una proliferazione di segni d'una nuova fase: nella primavera del '90 l'Italia è stata attraversata dal primo movimento universitario di massa dopo vari lustri, all'insegna della resistenza alla "legge Ruberti" che già configurava - sulla scorta dei "desiderata" della Confindustria - un controllo privatistico del sistema formativo; in giugno i primi scioperi "duri" dei metalmeccanici da anni vedono una partecipazione inedita delle figure considerate tipiche del passaggio "post-fordista", i giovani operai con contratti a termine di formazione e lavoro; dall'estate all'autunno, mentre Bettino Craxi tenta di "stringere" Occhetto all'unificazione col suo Psi di governo, prende piede l'offensiva politica del capo dello Stato, Francesco Cossiga, che "apre" il capitolo Gladio, lancia una campagna presidenzialista e intenta un braccio di ferro con la magistratura e col Pci stesso. Sullo sfondo e al fondo, la fine del blocco sovietico. E infine, la guerra: cui l'Italia partecipa, che per la prima volta vede dividersi i gruppi parlamentari comunisti e in cui il Tg3 "comunista" diretto da Sandro Curzi, con Lucio Manisco corrispondente "militante" da New York, svolge una funzione di riferimento della battaglia pacifista.

Slanci e parzialità

Ma tutti questi elementi trovano un diverso peso e differenti letture tra le varie sensibilità che scelgono inizialmente la parola d'ordine della "Rifondazione". Una nuova riflessione si apre appena, e contempla "conti" tutti aperti con i ritardi storici e gli aggiornamenti degli strumenti d'analisi e della proposta strategica. Così non è un caso che, pure nel pieno d'un percorso di unificazione nell'ultima battaglia congressuale contro la linea di Occhetto, al convegno delle opposizioni interne ad Arco di Trento, alla fine del settembre '90, le voci dei protagonisti hanno intonazioni ben diverse. Lucio Magri, che relaziona, parla di necessità d'una radicale "rifondazione del Pci". Ingrao, dal canto suo, esprime una condanna persino storica dell'operazione di Occhetto ma è contrario a scissioni e lancia la formula dello "stare nel gorgo". E Cossutta, mentre per un verso non pronuncia indicazioni scissionistiche, parla però dell'esigenza di "una reale e forte formazione autonoma dei comunisti". La novità è lo schieramento per una rottura d'una serie di dirigenti provenienti dalla II mozione del XIX congresso Pci, come Sergio Garavini, Lucio Libertini, Ersilia Salvato, Rino Serri e Nichi Vendola.

Quel che accade con Rimini nel '91 è che l'area "ingraiana" si divide sulla separazione dal neonato Pds, che lo stesso Ingrao vi rimane, mentre il Movimento per la rifondazione esso sarà raggiunto da buona parte dei militanti dell'ex II mozione del precedente congresso. Anche per Cossutta il passaggio è travagliato: egli rimarrà favorevole fino all'ultimo ad una prospettiva di "federazione" col nuovo soggetto occhettiano, prospettiva che invece non risuona in un tesissimo intervento nell'assise riminese come quello dell'ingraiano Vendola. E sarà proprio l'ingraiano Garavini il primo segretario nazionale del Partito della rifondazione comunista, essendo dapprima il coordinatore dell'esecutivo provvisorio di cui fanno parte Cossutta, Guido Cappelloni, Bianca Bracci Torsi, Rino Serri, Peppe Napolitano e Sandro Valentini. Mentre la presenza dei piccoli gruppi parlamentari di Democrazia Proletaria sarà fondamentale per un'iniziale rappresentanza democratica della neonata formazione.

Un profilo politico, come si vede, quello del primo Prc, dal carattere composito e "fluido". Che prevede slanci di proselitismo nella parte del "popolo" comunista indignata per lo scioglimento del Pci come fra molti che col Pci avevano avuto un rapporto di conflitto: 150mila sono le tessere che dopo soli tre mesi da Rimini sono state già distribuite, al maggio '91. Ma si depositano pure forti tensioni "al vertice" e si rinviano a capitoli successivi e ad ulteriori accumulazioni i ritardi strutturali nell'analisi, nei "conti" con la propria storia e cultura e nell'indagine delle forme d'una nuova politica comunista. A testimoniare di queste ultime aporie, i "drammi" del primo congresso sull'affiancamento al segretario Garavini - che pensa di dimettersi prima ancora d'essere eletto - di Cossutta in qualità di presidente; e, per un altro verso, il dramma collettivo sulla scelta del nome del partito, che rischia la rimessa in discussione. Per non parlare di quello delle femministe, che a quel congresso danno battaglia per garantire un percorso e luoghi autonomi delle donne e che si trovano di fronte ad una reazione violenta, ad un vero e proprio muro destinato a rafforzare a lungo il limite negativo della natura monosessuata del partito, a partire dai suoi livelli di direzione e di rappresentanza.

I nodi ed il filo

Ma è la "culla Storica" di quella fase nascente e dei primi due anni di Rifondazione comunista ad individuare nodi che torneranno ad essere messi a tema più tardi, nel filo politico che ne descriverà l'evoluzione.

In pochi mesi, il Prc si troverà infatti di fronte al duplice lascito della fine proclamata della grande forza comunista e della prima guerra del "Nuovo Ordine" mondiale. Il sistema politico che ha retto l'Italia degli anni '80 viene rapidamente messo in discussione, la "scoperta" giudiziaria dei fenomeni strutturali di corruzione politica distrugge l'egemonia Dc-Psi senza trovare una sinistra trasformatrice pronta ad interpretare politicamente la transizione se non in forme e con un progetto subalterni al pensiero liberale e alle compatibilità sociali imposte da una ristrutturazione che si rilancia in una fase di crisi. E' il tempo del governo Amato del '92, della sua micidiale finanziaria di taglio alle pensioni e allo Stato sociale, della messa a tema dei "vincoli" di Maastricht e del ridisegno delle relazioni sociali e contrattuali, con gli accordi di luglio. Mentre la "riforma" del sistema politico prende la figura della deriva maggioritaria, quasi a riverberare i duri colpi già inferti da Cossiga all'edificio costituzionale. Rifondazione è attiva sul fronte sociale e delle mobilitazioni di piazza, e sulla sua vicenda cominciano ad interagire altri tentativi di "controtendenza" nel corpo complessivo della sinistra, a partire dall'esperienza di "Essere Sindacato" e dei consigli unitari nella Cgil, come nelle rotture a sinistra dei metalmeccanici Cisl e nello sviluppo dei fenomeni sindacali "di base", fuori dalle confederazioni.

Al referendum maggioritario del '93 il Prc si presenta come animatore del "No", pur se anche nelle sinistre critiche il dibattito non riesce a stabilire un'universale convergenza, anzi. Ed inizia in quella fase il confronto - molto ritardato e che sconta il ritardo generale dell'analisi sulla globalizzazione e sui suoi assi di organizzazione - col problema dell'Europa, della sua unificazione economica e monetaria senza democrazia. Mentre nel Nord del paese, dove pure Rifondazione nelle elezioni amministrative di fine '93 riesce a polarizzare i consensi a sinistra, mietendo risultati significativi soprattutto a confronto con le flessioni del Pds, dilaga oramai la" seconda ondata" del fenomeno delle Leghe, che mordono elettoralmente nel corpo stesso della classe operaia di fabbrica.

Sarà proprio nel '93, dopo aver attraversato per mesi la "Convenzione per l'alternativa" (allora coordinata da Rina Gagliardi) un'ulteriore leva dirigente proveniente dalle file "ingraiane" sceglierà l'ingresso nel Prc: soprattutto vi entra Fausto Bertinotti, reduce dalla conduzione dell'opposizione interna anti-concertativa nella Cgil, e che rapidamente diventerà segretario, in una direzione politica dove Garavini ha già "lasciato" per le tensioni con Cossutta, e con il II congresso di Rifondazione, nel gennaio 1994. Assise dove la proposta di Bertinotti segretario viene sospinta da Cossutta stesso, che costituisce un "asse" di maggioranza con Magri, politicamente caratterizzato dal sostegno all'ipotesi di alleanza dei "Progressisti" contro le destre alle elezioni politiche di marzo: mentre il panorama politico, già sconvolto dal tramonto traumatico del craxismo e dalla fine di Dc e Psi, è segnato dalla "scesa in campo" di Silvio Ber1usconi.

Sarà proprio il Polo berlusconiano, in alleanza con la Lega di Bossi e con i post-missini di Alleanza Nazionale, a vincere quelle elezioni - in cui pure il Prc si assesta su un buon risultato.

Il Pds ne entrerà in crisi, e sarà la fine della parabola di Occhetto. Ma, soprattutto, entrerà per qualche mese in crisi il moderatismo del profilo politico e sindacale della sinistra maggioritaria italiana, duramente investita dalle politiche delle destre. Sono i tempi della manifestazione di massa del 25 aprile lanciata da "il manifesto" a Milano, della giornata drammatica del 10 settembre del centro sociale autogestito Leoncavallo a Milano, e soprattutto della mobilitazione delle confederazioni in autunno contro la finanziaria Berlusconi, con un'oceanica manifestazione a Roma. Berlusconi cadrà, ma non per lo sviluppo coerente dell'iniziativa sociale e politica a sinistra, come propone il Prc: cadrà per il capovolgimento di alleanze di Bossi, così da fare luogo al governo Dini, un nuovo governo "tecnico" - definizione equivoca che torna ad essere usata come già per l'esecutivo Amato e per quello Ciampi che gli era succeduto.

Svolte e rotture

E' proprio che tra il '95 e il '96, mentre nel Golfo e nel sanguinoso calderone della disgregazione della Jugoslavia si ripropone la trama della guerra del nuovo Ordine e la Nato si ricolloca in funzione di "gendarmeria mondiale", che l'impostazione della linea politica di Rifondazione viene profondamente segnata dall'analisi di Bertinotti sulle "due sinistre". Sul "no" al governo Dini si opera la scissione di Magri e di vari tra i quadri ex Pdup con cui aveva fatto ingresso nei primi mesi nel Prc: ma diversi non lo seguono e questo è un altro rimescolamento del panorama delle "identità d'origine" depositate nella Rifondazione. Dopo, la proposta del Prc alla "sinistra moderata" che si lega al centro e che nel frattempo con D'Alema segretario dei Ds fallisce la carta delle "larghe intese" con Ber1usconi con il tentativo Maccanico d'un "governo delle riforme" -, sarà quella d'un "patto di desistenza" elettorale, per battere le destre ma senza pregiudicare quella diversità strategica che tra le due sinistre appunto si identifica.

E' la desistenza con cui, effettivamente, sarà battuto il Polo nel voto dell'aprile '96, e che consentirà al governo Prodi di insediarsi, senza che Rifondazione entri nell'esecutivo ma col suo sostegno alla maggioranza parlamentare. Una Rifondazione che, intanto, ha riscosse una "vetta" di consensi elettorali alle politiche, l'8,6 per cento: e che nella sua vita di partito vede ulteriori rimescolamenti delle posizioni, con buona parte della "sinistra" interna ex Dp ma non solo - al II congresso condotta da Paolo Ferrero - integrata nella maggioranza che sostiene la linea del segretario, su cui Cossutta fino allora converge.

La "scommessa" sul "condizionamento" del governo di centrosinistra - che sconta un'altra scissione, minore, quella della "Confederazione dei comunisti" di Bacciardi ed altri, nonché identifica una opposizione interna animata dalla minoranza di quanti provengono dalla IV Internazionale, mentre la loro maggioranza stabilisce un rapporto "dialettico" con il segretario e poi lo sosterrà - si alimenta d'un "investimento" sul quadro europeo. E' in Francia infatti che prende piede 1'esperimento della "gauche plurielle" e del governo Jospin, mentre la Germania e la Gran Bretagna si avviano all'avvento dei socialdemocratici e dei laburisti. Così Rifondazione comunista, con una scelta tutt'affatto originale tra le sinistre antagoniste europee, sceglie di accompagnare la sua critica alle politiche di Maastricht con il sostegno "condizionato" - appunto al contrasto di quelle politiche e ai danni sociali conseguenti - al varo della moneta unica.

Questo spazio di "contrattazione", tutta politico-sociale, con il centrosinistra e Prodi precipita nella significativa crisi del '97 , sulla finanziaria: essa viene superata solo perché il Prc riesce a "strappare" non solo una "riduzione del danno" per i pensionati , ma risultati significativi sul fronte della sanità pubblica e la promessa di una legge per la riduzione dell'orario settimanale di lavoro a 35 ore senza perdita di salario (che resterà disattesa). Intanto, però, i mesi successivi vedono proprio sulla scena europea l'incedere della "Terza Via" del neo-laburista Tony Blair, cui si connette la maggior parte delle sinistre moderate: e dal centro del panorama politico italiano si esercita un nuovo "magnetismo" per la deriva dei Ds, con l'uscita di Cossiga e Mastella dal Polo e 1'avvicinamento all'Ulivo in funzione anti-Prc.

E' questa scena a determinare la scelta di proporre ultimativamente al centrosinistra l'alternativa tra "svolta o rottura" e dunque la crisi finale del governo Prodi. Ma anche la rottura interna di Armando Cossutta e di quanti lo seguono nella scissione: un atto che si contrappone non solo alla scelta politica della maggioranza del partito - in cui si incardinano molti con cui proprio Cossutta aveva costruito la battaglia a Rimini, così come la nuova leva rappresentata dalla grandissima parte della dirigenza e dell'organizzazione dei Giovani Comunisti, senza contare che ora fa ingresso un figura come quella di Curzi - ma pure all'approfondimento della linea di innovazione culturale che Bertinotti ha promosso da anni, incrociando nuove figure del conflitto nazionale e globale, dall'attenzione alle forme della socialità alternativa all'incontro in Chiapas con il subcomandante zapatista Marcos. Il resto, è storia dell'oggi: storia di nodi che sono tornati e finalmente si aggiornano, dall'autoriforma del partito stesso alla costruzione di un orizzonte e d'un programma di sinistra alternativa.